mercoledì 20 maggio 2020

Review party: 'Il capofamiglia' di Ivy Compton- Burnett

Buon pomeriggio lettori, come state? Vi siete già fiondati in libreria con tutte queste nuove uscite? 
Se magari non siete interessati ai distopici o ai fantasy, sarete felici di leggere questa recensione con cui passiamo a un libro di narrativa di primo Ottocento, Il capofamiglia di Ivy Compton Burnett. 



Il patriarcato trova la sua più fedele espressione nella figura di Duncan Edgeworth: padre tirannico, anaffettivo e lunatico, è il capofamiglia per antonomasia. Attorno a lui si muovono, atterriti o solleticati dal desiderio di sfida, i membri della sua famiglia: la moglie Ellen, naturalmente dimessa e timorosa, le due figlie ventenni Nance e Sybil, tanto egocentrica e sarcastica l’una quanto affettuosa e remissiva l’altra, e infine il nipote Grant, giovane donnaiolo dotato di grande spirito, costantemente in competizione con lo zio, di cui è il perfetto contraltare. Nella sala da pranzo degli Edgeworth va in scena quotidianamente una battaglia su più fronti: sotto il velo di una conversazione educata, si intuiscono tensioni sotterranee e si consumano battibecchi, giochi di potere, veri e propri duelli a suon di battute glaciali: «non stiamo semplicemente facendo colazione». Fino a quando la famiglia viene colpita da un lutto improvviso, che mescola le carte in tavola innescando una reazione a catena; strato dopo strato, ognuno dei personaggi svelerà la sua vera natura, in un crescendo di trasgressioni che comincia con l’adulterio e culmina con l’efferatezza.
Acume, sagacia, drammi familiari e dialoghi al vetriolo: il meglio di Ivy Compton-Burnett concentrato in un romanzo finora inedito in Italia, che lei stessa considerava il suo preferito. 

La trama di questo libro sembrava richiamare il tipico modus operandi delle scrittrici dell'Ottocento: vicenda familiare, ambientazione in campagna abbastanza umile e anonima e feroce critica alla società patriarcale. 
Leggendo la trama di questo romanzo, pensavo di trovarmi davanti un romanzo che in un certo qual modo ispirasse la mia amata Jane Austen. 
Non è stato così. 
Sin dalle prime pagine, ho riscontrato una difficoltà nello stile che si concentra soprattutto sui dialoghi. 
Se questo da un lato dovrebbe rendere sottile ed evidente la critica alla figura del capofamiglia, dall'altro lato rende pedante la lettura. 
I protagonisti della storia, i giovani Nance, Sybil e Grant da un lato e l'autorevole rappresentazione del patriarcato, Duncan Edgeworth, sono personaggi fastidiosi, intollerabili. 
Duncan incarna perfettamente l'idea di un padre padrone, le cui opinioni sono intoccabili, che si tratta dell'orario per la colazione alla malattia della moglie e la cui abitudine non può essere intaccata, nemmeno dal lutto. 
La tenera figura di Ellen, sua moglie, che a malapena riusciamo a conoscere, è forse il personaggio più sensibile, più tollerabile. 
Eppure la scelta dell'autrice di eliminarla da subito è indice di una sottile ironia: viene eliminato il personaggio che si piega alla logica dell'uomo centro della famiglia, che non alza la testa né la voce per farsi rispettare.
Nel libro si combatte una guerra su due fronti: da un lato, la retrovia ancorata a precetti bigotti e dall'altro, il giovane temperamento che con sarcasmo abbatte il muro di questa tirannia. 
Il romanzo alterna momenti di lucido divertimento a noiosi alterchi, provocando un'alternanza di sensazioni anche nel lettore, il quale ne esce disorientato. 
Avrei preferito una narrazione più lineare e discorsiva ,ma ho trovato comunque diversi pregi in questa storia: è ironico, quindi ha una sua piacevolezza; affronta una tematica che mi sta molto a cuore e su questo punto mi ha molto soddisfatta. 

In definitiva, non indimenticabile ma stuzzicante



 

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